Vol. 4 Núm. 2 (2016): Storie e geografie di Gillo Pontecorvo
A dieci anni dalla sua scomparsa e a trentasette dall’uscita del suo ultimo lavoro regolarmente distribuito nelle sale, la figura di Gillo Pontecorvo –e di conseguenza la sua filmografia– rimane una sorta di mistero, o quantomeno di anomalia, all’interno dello spettro della Storia del Cinema Italiano. Una sciarada apparentemente irrisolvibile, che fa pensare al cineasta pisano come a una di quelle figure di magnifici solisti della Settima Arte, per i quali ogni film rappresenta un progetto diverso, quasi una sorta di nuovo esordio, in grado di riazzerare, o quasi, ogni considerazione sui loro lavori precedenti. Abel Gance, Eric Von Stroheim, John Huston, Stanley Kubrick, Bernardo Bertolucci, e pochi altri: per quanto collocati in punti tra loro lontanissimi di un’ideale cartografia della Storia del Cinema, appartengono alla stessa famiglia, quella dei cineasti che riescono a fondere un irredento individualismo con una dimensione umanista altrettanto presente, sia a livello contenutistico che sul piano formale.
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